Ma lo stato non si può vendicare

3 Mar 2021

Con il pronunciamento della Cassazione che potrebbe aprire alla detenzione domiciliare per malattia grave a Salvatore Riina (non lo chiamo Totò perché è un diminutivo familiare a cui non mi sento di aderire), si è scatenata sui social, nei bar, nelle piazze, sugli autobus, la discussione sul “sono d’accordo o no?”. Come dice Umberto Eco: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Spero che nessuno si offenda perché anche io mi considero tra gli imbecilli, con una differenza: che prima di scrivere o affermare qualcosa, mi documento. Ed è proprio su questo episodio che è necessaria una seria documentazione. Non può esistere “io penso”. Prima di esprimere una giusta opinione, è necessario capire cosa dice la Costituzione. Il terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione stabilisce il principio della finalità rieducativa della pena: la pena non è una vendetta, né un esempio per convincere gli altri a non commettere lo stesso reato. L’obiettivo della pena è fornire al condannato gli strumenti necessari per reinserirsi nella società rispettando le regole fondamentali della convivenza civile. Perché ciò accada è necessario che la pena rispetti la dignità del condannato: per questo nella nostra Costituzione sono vietati i trattamenti contrari al senso di umanità. Facciamo finta che qualcuno di voi abbia fatto una cosa sbagliata, come picchiare la sorellina più piccola o un altro bambino. La mamma potrebbe darvi qualche sculaccione, o punirvi in un altro modo, oppure farvi vedere che avete sbagliato: da una parte spiegandovi che non si picchiano gli altri bambini, perché sentono dolore, perché poi gli viene voglia di vendicarsi, dall’altra facendovi fare o vedere qualcosa che vi dimostri che è ingiusto picchiare. Ci chiediamo se il nostro Stato mette in atto quanto la Costituzione dice. In un Istituto sono di importanza fondamentale nel recupero del detenuto l’equipe del carcere formata dal Direttore, dal Comandante, dagli Educatori, Psicologi, Cappellani, Assistenti sociali, le Associazioni di Volontariato, gli stessi Agenti di Polizia Penitenziaria, e tutti costituiscono il vero nocciolo della questione, il fulcro dell’ideale rieducativo della pena, essendo loro a vivere a stretto contatto con i reclusi. Ogni percorso risocializzante e di riabilitazione, senza la professionalità di queste figure istituzionali, rimarrà un’astrazione. Ora, io lavoro in carcere da anni e vi assicuro che non è in discussione la professionalità, ma il numero delle persone che servono a realizzare il dettame costituzionale. Concludo: la forza di uno Stato, consiste nella capacità di proporre modalità alternative di recupero delle persone che hanno sbagliato. Far patire a Riina, ciò che lui ha fatto patire alle sue vittime, non è da Stato civile, questo lo si faceva al tempo di Hammurabi, dei Romani, nel Medioevo, sino agli inizi del 1900. La sete di vendetta non è né Cristiana né umana, è un sentimento primordiale arcaico. Ma la filosofia, le cultura, le religioni ci hanno aiutato la persona umana a riflettere sull’istintività di determinate azioni e a elevare la riflessione sul concetto di rispetto della persona. Per cui, su questo caso specifico, lascio ancora spazio alla discussione, perché se esiste un carcere in cui assicurare le cure e proteggere le persone minacciate da Riina, ben venga, ma è sui principi che mi son voluto soffermare. Una volta che dei medici seri, hanno decretato lo stato terminale di una malattia, a noi spetta solo il silenzio, affinché la morte compia il suo ultimo atto e la giustizia Divina faccia il suo corso. Noi dobbiamo sempre agire nella LEGALITÀ’. Io penso alle mie infedeltà e incoerenze, che non sono poche! E ora via agli insulti …ho parlato col Vangelo e la Costituzione, non mi preoccupano le offese, se no avrei fatto il politico, non il prete! Don Gaetano Galia da La Nuova Sardegna, 6 giugno 2017